01/10/2024
Come è noto la demografia storica cominciò a svilupparsi come disciplina tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso, sollecitando anche per la storia italiana una nuova attenzione per lo studio storico della popolazione. A proporsi come fonte privilegiata per l’età tardo medievale fu in primo luogo la documentazione cittadina di natura fiscale che, là dove conservata in nuclei seriali coerenti, fu oggetto di indagini sistematiche. La Tavola delle possessioni fatta redigere dal comune di Siena tra il 1316 e il 1320, una delle più precoci imprese di definizione catastale generale nelle città europee, offrì per esempio la possibilità di ricostruire lo spazio urbano, gli insediamenti rurali e le strutture patrimoniali e sociali di città e comunità di villaggio a un’équipe di ricerca coordinata da Giovanni Cherubini; mentre il catasto di Firenze e del suo dominio territoriale redatto nel 1427 fu oggetto di un progetto di ricerca internazionale coordinato da David Herlihy e Christiane Klapisch-Zuber che, avvalendosi anche di pionieristiche tecnologie informatiche, ricostruì le strutture familiari, i patrimoni, le attività economiche e i caratteri demografici della Toscana fiorentina, dando forma alla prima vera indagine di demografia storica applicata a una città italiana. Analogamente, anche altre fonti amministrative quali gli elenchi distinti per parrocchie degli abitanti atti a portare le armi cominciarono a essere utilizzate per ricostruire l’evoluzione demografica, come nel caso di Bologna indagato da Antonio Ivan Pini e Roberto Greci. Un momento importante di snodo negli studi fu costituito dal convegno dedicato a Strutture familiari, epidemie, migrazioni nell’Italia medievale, organizzato nel 1983 da Rinaldo Comba, Gabriella Piccinni e Giuliano Pinto, che si proposero sin da allora tra i principali protagonisti di quella temperie storiografica. Le questioni della storia demografica nell’Italia medievale furono riformulate ampliando l’orizzonte dai temi classici delle strutture familiari e delle epidemie alla questione delle migrazioni e della condizione dei migrati nelle città. L’obiettivo era quello di integrare i risultati delle precedenti stagioni di studio sull’immigrazione dalle campagne e sui processi di inurbamento a nuove prospettive tese a cogliere il fenomeno più ampio delle migrazioni, ponendo attenzione alle aree di emigrazione e alle condizioni economiche e sociali di chi migrava. In quegli anni le ricerche vennero concentrandosi principalmente sulla condizione degli stranieri nelle città. Il riferimento è ad alcuni volumi collettanei esito di convegni e di seminari organizzati da iniziative come, per esempio, il Gruppo interuniversitario per la storia dell’Europa mediterranea: Forestieri e stranieri nelle città basso medievali, che propose una prima ricognizione della varietà della condizione, non solo giuridica, quanto soprattutto sociale ed economica, dell’essere straniero; Dentro la città. Stranieri e realtà urbane nell’Europa dei secoli XII-XVI, che teneva insieme la storia dei gruppi sociali e delle loro relazioni con quella della mobilità degli uomini e delle idee, e delle realtà urbane, in una rete di relazioni internazionali tra area mediterranea e mondo transalpino; e Comunità forestiere e «nationes» nell’Europa dei secoli XIII-XVI, che allargando il raggio d’analisi, oltre alle rappresentanze mercantili e corporative, anche ad altri fenomeni associativi (come quello delle nazioni studentesche), cominciò ad esplorarne la natura ancipite di comunità forestiere e di realtà sovranazionali. Tra i molti spunti emersi in quelle sedi, merita di essere ricordato come Giuliano Pinto avesse sottolineato con chiarezza come la condizione diffusa e prevalente di ‘straniero’ derivasse dal fatto che tale nozione definiva la maggior parte delle persone nel tardo medioevo, dal momento che, varcati i confini della città di appartenenza, tutti erano considerati “forestieri”; o come Gabriella Rossetti avesse evidenziato l’importanza di non porre attenzione solo ai fenomeni di accoglienza ma anche a quelli, altrettanto diffusi, di rifiuto degli stranieri. Negli anni novanta gli studi medievali italiani di storia demografica raggiunsero il culmine della parabola di interesse, che può essere colta nel convegno di sintesi su Demografia e società nell’Italia medievale. Secoli IX-XIV, curato da Rinaldo Comba e Irma Naso, che raccolse contributi su mobilità della popolazione, inurbamento delle popolazioni rurali, immigrazioni urbane e migrazioni di uomini d’affari; in una raccolta di studi sulle trasformazioni indotte dai fenomeni migrazioni e dai tra gruppi nazionali, etnici e religiosi differenti sulle strutture architettoniche e urbanistiche delle più importanti città italiane curata da Donatella Calabi e Paola Lanaro; e nei saggi che Antonio Ivan Pini, un’altra delle figure maggiori di quella stagione storiografica, raccolse nel volume Città medievali e demografia storica, a suggello di un coerente percorso delle proprie ricerche, che avevano assunto il dato demografico in una prospettiva ‘globale’ per cogliere i nessi tra la consistenza della popolazione, la sua continua dialettica interna (indici di natalità, crisi di mortalità, movimenti migratori, struttura della famiglia, ecc.), e le situazioni economiche, le realtà climatiche, i condizionamenti politici, religiosi e culturali.