Otto meditazioni di architettura
Campo Baeza, A.; Pallasmaa, J. Edited by: Zambelli, M.
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Otto meditazioni di architettura

13/01/2025

La bellezza e l’etica, così come le loro relazioni nascoste, sono senza dubbio temi fuori moda nel discorso artistico e architettonico attuale. In un periodo storico in cui si venerano la novità, le immagini accattivanti e le invenzioni formali, la prospettiva etica è stata accantonata e la dimensione etica è entrata raramente negli scritti recenti sull’arte e sull’architettura. Nella nostra epoca, The Ethical Function of Architecture del filosofo Karsten Harries è un raro esempio di interesse per la dimensione etica dell’architettura. La qualità artistica è in genere considerata come un’espressione soggettiva e unica e, invece di suggerire una qualche risonanza etica, ci si aspetta che mostri immagini ed esperienze imprevedibili. In realtà, la bellezza e l’etica sono stati concetti problematici nelle arti per un secolo e mezzo, e gli artisti stessi hanno solitamente messo in discussione o respinto entrambe le nozioni. Nella nostra cultura ossessivamente consumistica la bellezza si è trasformata in una deliberata manipolazione e seduzione estetica; tutto, dai prodotti agli ambienti, dalla personalità al comportamento, dalla politica alla guerra, è oramai estetizzato in modo manipolatorio. Siamo entrati nell’era del “capitalismo estetico”, come recita il titolo di un libro del compianto Gernot Böhme, filosofo tedesco e amico mio, il quale è stato anche un pioniere dell’analisi filosofica delle atmosfere. La nuova modalità del capitalismo implica una precisa e calcolata manipolazione delle apparenze, un invecchiamento programmato e la perdita di sincerità. Un tempo avevamo due stagioni della moda, ossia estate e inverno, poi quattro e ora otto. Possiamo chiederci se le mode architettoniche abbiano subito un’accelerazione simile. Inoltre l’architettura attuale, formalista e retoricamente drammatizzata, difficilmente aspira alla bellezza e alla serenità, poiché le esperienze dell’imprevisto, dello sbalorditivo e dell’unheimlich, o del vero e proprio squilibrio e della minaccia, sono spesso più evidenti nel suo immaginario. Nella cultura dell’attenzione tutto è permesso purché venga notato. Nell’epoca moderna il requisito della bellezza è stato sostituito dall’ossessione per la novità. Paradossalmente, però, anche la novità si trasforma in ripetitività. «Poiché il nuovo è cercato solo per la sua novità, tutto diventa identico, perché non ha altre proprietà se non la sua novità», sottolinea il filosofo norvegese Lars Fr. H. Svendsen nel suo libro Filosofia della noia. Tuttavia la bellezza è sempre in relazione con l’atemporalità, perché orienta la nostra coscienza alla permanenza e all’eternità. «Il “linguaggio della bellezza” è “il linguaggio di una realtà senza tempo”», sostiene il filosofo Karsten Harries. E il poeta e scrittore Jorge Luis Borges afferma: «Penso che ci sia un’eternità nella bellezza». Qual è il significato di questo netto allontanamento dell’arte e dell’architettura dalla bellezza, dall’etica e dalla vita? Nel suo libro La disumanizzazione dell’arte, José Ortega y Gasset, filosofo spagnolo, suggerisce che il soggetto dell’arte si è gradualmente spostato dalle “cose” alle “sensazioni” e, infine, alle “idee”. Secondo Ortega tale sviluppo ha gradualmente indebolito il contenuto umano dell’arte. Indipendentemente dal fatto che si sia d’accordo o meno con l’analisi di Ortega, essa apre una riflessione sulla trasformazione dell’essenza dell’arte. Si tratta di un passaggio da rappresentazioni concrete e sensoriali di cose esistenti a espressioni artefatte e cognitive. Allo stesso tempo le espressioni artistiche si sono spostate verso il regno delle idee concettuali e delle immagini scientifiche. In uno sviluppo del genere il ruolo della bellezza è conseguentemente cambiato ed è difficile mettere in relazione la rappresentazione sensoriale e l’esperienza fenomenica della bellezza con le idee cerebrali e strumentalizzate delle espressioni artistiche attuali. L’arte e l’architettura sono diventate spesso autonome e consapevoli dei propri mezzi e dei propri fini. Si è perso anche il senso del continuum temporale. Invece di mediare tra realtà diverse, come la vita e gli ideali, le idee e i sentimenti, il tempo e l’atemporalità, l’arte si è trasformata in una realtà autonoma. Non sorprende che questi cambiamenti fondamentali nel pensiero e nell’orientamento artistico si applichino anche all’architettura.