Atto abate vallombrosano e vescovo di Pistoia
Edited by: Salvestrini, Francesco
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Atto abate vallombrosano e vescovo di Pistoia

11/06/2024

Sant’Atto da Pistoia (1070/80-1153), abate generale dei Benedettini vallombrosani e vescovo di questa città toscana, canonizzato nel XVII secolo (festa 22 maggio, a Pistoia 21 giugno), fu un uomo di Chiesa, un agiografo e un personaggio politico di primo piano nell’Europa del secolo XII, di cui costituisce una tra le figure più interessanti ma, allo stesso tempo, meno conosciute. Da tempo la Curia pistoiese ha espresso l’auspicio che l’indagine storica su questo antico prelato consenta di approfondire alcune questioni rimaste irrisolte, a partire dai miti addensatisi intorno alle origini del religioso per giungere al suo coinvolgimento nella prima definizione del patronato di san Jacopo Maggiore su Pistoia, e alla vasta rete di contatti che, come abate e poi ordinario diocesano, egli seppe stabilire a livello locale e ‘internazionale’. I contributi raccolti nel presente volume cercano di rispondere almeno in parte a tali interrogativi, facendo il punto su ciò che l’erudizione e la storiografia moderna hanno finora evidenziato e sottolineando, parallelamente, quanto le fonti dell’epoca permettono ancor oggi di valutare. La vita di Atto fu, del resto, segnata da profondi contrasti, non sempre documentati in modo adeguato. Tuttavia le testimonianze disponibili mostrano come egli sia stato in grado di affrontare problematiche di natura molto diversa, lavorando costantemente per il bene delle istituzioni che nel corso del tempo venne chiamato a governare. Atto condusse la prima parte della sua esistenza come monaco, accolto nel ramo della famiglia benedettina fondato durante la seconda metà del secolo XI da Giovanni Gualberto († 1073), padre di Vallombrosa ed esponente di primo piano nella riforma ecclesiastica del periodo. Grazie forse ad una buona preparazione quasi certamente acquisita in ambiente regolare e alla stima dei confratelli, nel 1125 divenne abate maggiore dell’Ordine, e da allora continuò per tutta la vita ad occuparsi della definizione istituzionale del medesimo, della sua memoria agiografica e dell’espansione territoriale attraverso l’Italia centro-settentrionale e la Sardegna. Forte dei buoni rapporti intrattenuti col potere marchionale di Tuscia, nel 1133 assunse la dignità episcopale di Pistoia, grazie anche al sostegno di papa Innocenzo II (1130-43), residente a Pisa dal 1134 al ’37. Occorre, infatti, ricordare che Atto aveva preso le parti di tale pontefice contro il rivale Anacleto II durante lo scisma che divise la Chiesa fra il 1130 e il 1138. Innocenzo, dal canto suo, cercò sempre di porre alla guida di città importanti personaggi che gli si erano mostrati maggiormente fedeli, come Siro a Genova o il cistercense Baldovino a Pisa. Osservando la sua opera quale guida dei Vallombrosani e pastore pistoiese possiamo collocare Atto in quella schiera di illustri riformatori la cui vicenda è destinata a scardinare, nell’interpretazione storiografica, la troppo rigida contrapposizione di matrice weberiana tra momento carismatico originario di un movimento o di una fondazione religiosa e fase di istituzionalizzazione/normalizzazione, intesa come appannamento e sostanziale riduzione a ‘luogo comune’ (Veralltäglichung) del carisma stesso. Oggi, grazie soprattutto agli studi di Gert Melville, abbiamo consapevolezza che nella storia degli Ordini regolari, così come in quella degli organi diocesani, queste due stagioni per lo più non risultarono nettamente distinte, né ontologicamente contrapposte. Sappiamo anche che furono proprio i movimenti riformatori dei secoli XI e XII a consolidare le nuove strutture istituzionali della Chiesa (basti solo menzionare papa Niccolò II e l’affidamento al collegio cardinalizio dell’elezione dei pontefici). E infine appare ormai chiaro come non poche scelte di carattere organizzativo riassunte da consuetudini disciplinari, costituzioni monastiche e deliberazioni sinodali siano state compiute in ossequio alla memoria dai padri fondatori o dei presuli venerati come santi, ossia alla luce delle testimonianze agiografiche e delle condivise tradizioni devozionali.