L’intervista immaginata

L’avvento della stampa periodica a metà Ottocento coinvolge lo scrittore in un meccanismo mediatico inedito, che lo priva dei suoi attributi “sacrali” e lo costringe a fare i conti con la nascente supremazia di un pubblico diffuso, delle leggi di mercato e dei gusti collettivi. A fine Ottocento, uno dei generi giornalistici privilegiati dalla stampa è l’intervista, verso cui gli autori si dimostreranno propensi o maldisposti. Proprio durante l’ultimo decennio dell’Ottocento – definito da Henry James age of interviewing – gli scrittori elaborano un “escamotage” per prendersi una prima e parziale rivincita: rendere l’intervista un genere letterario, attraverso i modi della narrativa, le forme del romanzo e la sua trasformazione in una serie di finzioni.
All’interno di ciascun capitolo, il tipo di intervista viene studiato in tutte le sue apparizioni mediatiche: stampa, radio, televisione, digitale. La divisione dei capitoli è stabilita sulla base del polo comunicativo oggetto dell’invenzione: vale a dire che, considerando l’intervista innanzitutto un dialogo, la finzionalità può orientarsi in tre modi.

Nel primo capitolo, quello “inventato” è il soggetto a monte del dialogo, colui che fa le domande: l’intervistatore; ne nasce il genere dell’auto-intervista, dove lo scrittore si nasconde dietro il proprio doppio, con esempi che – sul piano letterario – vanno da André Gide fino a Truman Capote e – sul fronte mediatico – arrivano a forme “romanzesche” d’autoritratto radiofonico e televisivo in Roland Barthes e Primo Levi. Nel secondo capitolo, l’intervistato è un soggetto immaginario, un personaggio celebre del passato o mitologico, addirittura un “oggetto”: l’invenzione più celebre è quella delle Interviste impossibili trasmesse da Radio Rai, le quali avranno una grande fortuna anche in televisione e sui media digitali. Nel terzo capitolo, tutto il dialogo dell’intervista è condotto all’interno di un mondo finzionale, ad esempio dentro un romanzo, una graphic novel, sul palcoscenico di un teatro o in una poesia. La conclusione rintraccerà il principio che intervista immaginata e intervista mediatica condividono e stabilirà che, con queste invenzioni, gli scrittori non ambiscono a liberarsi dalla mediazione tra stampa e pubblico operata dall’intervista, ma la usano per rappresentare se stessi, in maniera diversa, all’interno di questo dialogo continuo, della loro ineludibile vita mediatica.