01/12/2024
Perché scrivere oggi un libro sulla critica del fascismo della Scuola di Francoforte? Le ragioni sembrerebbero essere principalmente tre. Vi è anzitutto la convinzione personale che i tempi correnti riflettano cupamente alcuni dei tratti storici dell’instabilità politico-economica degli anni ’30. Proprio come oggi il capitalismo ultraliberista si è scrollato di dosso i valori e le strutture della liberal democrazia, così il fascismo si affermò attraverso la riorganizzazione autoritaria del liberalismo d’inizio secolo. Autoritarismo e capitalismo sembrerebbero condividere una sorte comune. La seconda ragione riguarda la costatazione, per certi versi sorprendente, della scarsità di studi diretti all’analisi del tema in questione. Appare pertanto utile ricostruire il percorso bibliografico-interpretativo degli studi francofortesi sul fascismo.nVi è infine una terza ragione legata a un mistero, a un libro annunciato nel report dell’Institut für Sozialforschung [IfS] del ’39 e mai apparso. Qui si menziona infatti l’intento di elaborazione di una «teoria del fascismo». Di tale testo non è stata però lasciata traccia alcuna né, a seguito di varie ricerche d’archivio, si è riusciti a trovare documentazione rilevante. Nessuna delle pubblicazioni o dei manoscritti degli anni a seguire ha infatti inteso formulare una teoria organica del fascismo o perseguire anche uno solo dei punti menzionati nel documento del ’39. Il programma in questione prevedeva la disamina di tendenze sociali autoritarie relative alla presenza di «contraddizioni all’interno dell’economia nazionale [del] mercato mondiale [e di] un esercito permanente di disoccupati». L’ipotesi di fondo consisteva nel fatto che l’avvento del fascismo si fosse posto in funzione antagonistica ai bisogni dei lavoratori e la classe dei capitalisti aveva utilizzato il fascismo in modo strumentale, a proprio favore, intendendo così soffocare la possibilità di una trasformazione in senso socialista della società. Tale teoria avrebbe dovuto includere una «comparazione tra le ideologie e le istituzioni tedesche e italiane» concludendosi poi con una tesi sulle «differenze […] meramente superficiali» tra i due paesi. In entrambi i casi il fascismo avrebbe inteso anzitutto demolire ogni possibile apertura democratica della vita politica utilizzando la pianificazione economica «in forma caricaturale e reazionaria» e per fini bellicistici. L’impossibilità di rintracciare tale opera o degli scritti posteriori di recezione degl’intenti originari enunciati nel documento citato ci consente di azzardare almeno un’ipotesi: i francofortesi si resero conto dell’impossibilità di condensare in un unico studio la complessità dell’analisi del fascismo sia come fenomeno storico-politico che come fenomeno psico-sociale. Di qui il tentativo corrente di sintetizzare a posteriori, in un quadro corale, i diversi temi e punti di vista espressi. Una pianificazione accompagnata da attività corrispondenti realizzate si avrà invece col rapporto dell’istituto relativo al decennio 1934-1944 dal titolo Ten Years on Morningside Heights [’44]. Qui si riserverà all’indagine del nazionalsocialismo una sezione specifica ove saranno elencate le aree di ricerca rilevanti unitamente alle corrispettive attività di pubblicazione e docenza. Da tale resoconto si delineeranno chiaramente anche gli ambiti di ricerca sul fascismo che l’IfS potenzierà negli anni a seguire. Al tema dell’analisi dell’autorità quale concetto chiave del tempo si assoceranno questioni relative alla trasformazione autoritaria della famiglia e della società tedesca – senza escludere indagini specifiche circa la struttura verticistica della società cinese studiata da Wittfogel, o di quella argentina analizzata dallo stesso Weil. Si comprende così come i francofortesi seguiranno il dipanarsi del concetto di autorità attraverso il passaggio da un’economia liberale a un’economia di guerra, ovvero, della riorganizzazione totalitaria dello Stato nazista, della limitazione della proprietà privata, ma anche dello sviluppo di temi relativi alle condizioni psicologiche dei lavoratori tedeschi, nonché della trasformazione dei prodotti culturali e di un programma di ricerca sull’antisemitismo.