Bruges nesso economico tra i popoli romanici e germanici (secoli XIV-XV)

Dove cominciare? […] dal filologo ineguagliabile? Dallo storico originale e acuto? Dal ricercatore appassionato? Dal Maestro infaticabile? Dall’organizzatore efficientissimo? Dall’animatore e promotore culturale? Dal grande storico e imprenditore di vini? Dall’oratore avvincente? Dal cittadino? Dall’uomo?

Sono le domande che si poneva Luigi De Rosa per ricordare l’amico Federigo Melis a tre anni dalla morte (De Rosa 1976, 15).  Un personaggio semplice, al contempo complesso e molto affascinante, che proveremo a spiegare nei suoi tratti più rilevanti. Federigo era nato a Firenze il 14 agosto del 1914 da madre romana e padre sardo. Raimondo Melis era un impiegato del demanio dell’Aeronautica che, spostandosi da una sede di lavoro all’altra, costrinse il figlio a un percorso scolastico irregolare. Prima il liceo scientifico a Caserta, poi a Milano passò al classico, infine si diplomò in ragioneria a Roma dove si laureò in Economia e Commercio nel 1939 con Francesco della Penna discutendo una tesi in Ragioneria Generale e Applicata dedicata a Francesco Villa. Iniziò subito con l’incarico di assistente in un ambito scientifico che gli era particolarmente congeniale: «letture storiche» di ragioneria. Proprio questo binomio tra storia e scienza dei conti, che maneggiava con maestria anche nelle parti più complicate, segnò il suo percorso accademico e gli consentì di mettere a disposizione degli studiosi un nuovo e fondamentale tipo di fonte, quella di origine aziendale (Del Treppo 1978, 1-5). Il suo incontro con l’università fu rapidamente interrotto. Spiravano venti di guerra. Nel 1940 era stato arruolato come ufficiale presso il Commissariato dell’Aeronautica e il 5 giugno di quell’anno partì da Napoli sul piroscafo Colombo per scortare documenti segreti f ino ad Addis Abeba. Quel soggiorno avrebbe dovuto essere breve, ma le cose andarono diversamente perché l’Italia entrò nel conflitto e Melis, suo malgrado, rimase in Africa sino all’ottobre del 1944 dopo aver sopportato anche una lunga prigionia1. Le testimonianze sulla sua permanenza in Etiopia e in Kenya consentono di scoprire aspetti meno noti del personaggio. Il carteggio scambiato con l’amatissima moglie, Gabriella Forconi, sposata ancor prima di laurearsi, mostra un uomo profondamente innamorato, dotato di grande fantasia, intensa immaginazione e capacità grafiche non comuni2. In quegli anni Federigo visse una quotidianità fatta di ricordi, mentre sognava di ritrovare la libertà perduta. Costretto in ambiente ostile era disperatamente desideroso di tornare in Italia per rivedere Gabriella e continuare la carriera accademica. Come accennato, nel 1944 ritrovò la libertà e poté riprendere l’attività di assistente. Nel 1948 ottenne la Libera Docenza presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Roma, dove svolse corsi di Storia della Ragioneria. L’anno dopo divenne professore incaricato di Storia Economica a Pisa, Ateneo a cui rimase legato per tutta la vita anche quando si trasferì a Firenze. Sin dall’inizio delle sue ricerche, si era dedicato intensamente allo studio della contabilità così, nel 1950, pubblicò una delle sue opere più originali, La storia della ragioneria (Melis 1950), dalla quale emerse chiaramente la sua tempra di storico. Mario Del Treppo lo ha definito «un libro di storia, di storia della cultura e della civiltà» dei secoli XIII-XV. In realtà Melis toccò un periodo ben più lungo che comprendeva anche l’antichità preromana (Del Treppo 2006, 18788). L’Autore aveva aperto il volume scrivendo: «Tracciare, adunque, la storia della ragioneria è, in un certo senso, seguire la storia della civiltà, tanto le vicissitudini di quella sono condizionate e legate a molte altre manifestazioni dell’evoluzione della civiltà, soprattutto nel campo economico» (Melis 1950, 3). Fu proprio in questo lavoro che indicò come fondamentale il ruolo delle fonti aziendali nel suo metodo di ricerca. Se, da un lato, con quel saggio ricostruiva in modo estremamente efficace e innovativo l’evoluzione della contabilità, dall’altro mostrava una delle idee fondamentali di tutte le sue indagini: lo stretto collegamento tra lo sviluppo del capitalismo e l’evoluzione della scienza dei conti. Dopo la stampa di quell’opera continuò a indagare senza sosta in molti archivi toscani; in mezzo a carteggi mercantili e registri contabili come quelli appartenuti a Francesco Datini. Furono «gli anni datiniani» (Del Treppo 1978, 24). Secondo Gabriella, che lo seguì e lo aiutò in ogni momento della vita, Federigo stava chiuso da mattina a sera nell’insalubre scantinato del Duomo di Prato dove era conservato l’archivio del mercante. Quando non passavano la notte in una camera dell’Albergo Stella d’Italia, prendevano l’ultimo pullman per tornare a casa con l’autista compiacente che spesso ritardava di qualche minuto la partenza prevista per le 23.00. La straordinaria ricchezza di quella documentazione e le grandi novità che emergevano da quelle carte lo portarono nel 1955 a organizzare a Prato la Mostra Internazionale dell’Archivio Datini3, un’esposizione dedicata all’economia europea del tardo Medioevo allestita con libri contabili e lettere appartenute a Francesco Datini. Quella mostra, inaugurata da Luigi Einaudi e Giovanni Gronchi mentre si alternavano alla Presidenza della Repubblica, consentì a Melis di mostrare al mondo i risultati delle sue ricerche, fondate su fonti poco conosciute dagli studiosi del tempo. Non solo, con quella esposizione, che ebbe un grande successo per lo straordinario valore scientifico e didattico, introduceva, consacrandolo, un nuovo modo di fare storia (Bellandi et al. 2024, 383-98). Le sue riflessioni di tipo euristico e metodologico rifiutavano l’idealismo crociano poco attento all’uso di fonti archivistiche e orientato verso una storia fatta dal pensiero e dagli stimoli etici e politici dell’uomo. Una impostazione che non lasciava spazi a questioni anche tecniche come gli studi dedicati alla storia materiale e quindi agli imprenditori e alle loro imprese (Orlandi 2018, 7-16). L’idealismo stava influenzando il dibattito sulla nascita del capitalismo italiano e numerosi studiosi come Raymond Delatouche, Roberto Sabatino Lopez, Henri Pirenne, Michael Moissey Postan, Armando Sapori definivano irreversibile la crisi economica del XIV secolo; una crisi, affermavano, causata da diversi fattori ma soprattutto dalla peste nera e dalla decadenza morale degli operatori economici (Bellandi et al. 2024, 388-90). Nel pensiero di Sapori, in particolare, Francesco Datini era un tipico esempio del nuovo scempio morale (Sapori 1946; 1952). Così il nostro mercante divenne protagonista di una polemica più ampia che investiva la nascita del capitalismo commerciale e il ruolo del pensiero cattolico.